Cos’è il carcere. Vademecum di resistenza, intervista a Salvatore Ricciardi

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Per la stragrande maggioranza delle persone il carcere è un universo sconosciuto. La paura che esso evoca genera un meccanismo di rimozione. E così il carcere si sottrae allo sguardo pubblico e alla critica della sua funzione, supposta, di risocializzazione. Da qui la necessità di provare a spiegare «cos’è il carcere», e di discutere la «possibile utopia» della sua abolizione.  Questo tentativo riesce bene a Salvatore Ricciardi, che il carcere ha conosciuto a fondo per averci trascorso un lungo tratto della sua esistenza.

Con una narrazione essenziale, Ricciardi racconta in cosa consiste «la casa del nulla», una delle tante definizioni coniate dai prigionieri per nominare l’inferno che sono costretti ad abitare. Una realtà regolata da una violenza quotidiana dispotica e crudele, dai parametri di una pena affatto «rieducativa». Come in un lucido sogno, Ricciardi si addentra nella vita passata, si ricala nei gironi dell’inferno, ne ripercorre i meandri raccontando i corpi e le menti sofferenti che lo abitano, le loro condizioni materiali di vita, le loro tecniche di resistenza all’annientamento psicofisico che fa registrare centinaia di suicidi e migliaia di atti di autolesionismo all’anno.
Ma quel che in questo viaggio viene man mano collezionato è la ricchezza, la complessità e l’erudizione del lessico dei prigionieri: lo straordinario vocabolario di una lingua elaborata in secoli di lotta e resistenza trasmessa da recluso a recluso. Per resistervi.

(Da www.deriveapprodi.org/)

 

Ascolta l’intervista a Salvatore Ricciardi, autore di “Cos’è il carcere. Vademecum di resistenza”, Prefazione di Erri De Luca, Derive e Approdi 2015

da RaiRadio3, Fahrenheit, 18 febbraio 2015

 

 

 

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Antigone: oltre 17 mila stranieri in carcere, in pochi hanno misure alternative

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di Giovanni Augello
Redattore Sociale, 4 febbraio 2015
“Da ottobre 2014 hanno iniziato a nascere nuove campagne contro gli immigrati che potrebbero riportare a un aumento generale della popolazione reclusa, soprattutto straniera”. A lanciare l’allarme è Antigone che oggi a Roma presenta il volume “Detenuti stranieri in Italia. Norme, numeri e diritti” a cura di Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione. Il testo fa un quadro generale della popolazione straniera in carcere, snocciolando i dati sulla composizione dei detenuti.
L’ultimo dato sulla popolazione straniera in carcere in Italia parla di 17.462 unità (al 31 dicembre 2014), pari al 32,56 per cento del totale. Un dato che, nella sua percentuale, è in linea con quelli raccolti dall’entrata in vigore del Testo unico sull’immigrazione. “Fino al 1996 – spiega il testo – la quota di stranieri detenuti in Italia si mantiene piuttosto bassa, sia in termini assoluti che percentuali. Dopo quell’anno, e ancora più segnatamente dopo l’entrata in vigore del Testo unico sull’immigrazione, la componente straniera nelle carceri italiane comincia a crescere. Tra il 1998 e il 2000 toccherà la soglia del 30 per cento, dalla quale non scenderà più”.
Ad incidere maggiormente sul preoccupante incremento della popolazione carceraria sono i provvedimenti targati Monti, Letta e Renzi che secondo Antigone “hanno per lo più permesso la scarcerazione di quanti erano stati condannati a pene non elevate”.
E ad avvalersi di tale sconto di pena, anche gli immigrati “che come è noto – spiega Antigone – provengono da contesti sociali disagiati e marginali e sono puniti per reati meno gravi rispetto agli italiani”. Per Antigone, però, ad oggi manca ancora una “strategia penale diretta a ridistribuire il peso delle iniquità sociali. Il fatto è che quando a decidere è il caso e non un piano ben determinato il rischio è che in breve tempo si torni al passato”.
La popolazione straniera in carcere. Il primo dato che balza agli occhi è che degli oltre 17 mila detenuti stranieri in Italia solo 867 siano donne (di cui 232 provenienti dalla Romania, 90 dalla Nigeria e 46 dalla Bosnia), cioè il 4,9 per cento sul totale degli stranieri detenuti, il 4,3 per cento sul totale delle detenute. Per quel che riguarda la provenienza, per numeri assoluti e per percentuale, al primo posto troviamo come provenienza il Marocco (2.955 detenuti, il 16,9 per cento sul totale degli stranieri detenuti). A poca distanza la Romania (2.835 e 16,2 per cento), poi l’Albania (2.437 e 14 per cento) e la Tunisia (1.950 e 11,2 per cento). Primi tre posti confermati anche per tasso di detenzione sulla comunità straniera presenta in Italia. Al primo posto il Marocco, con 704 detenuti ogni 100 mila persone presenti in Italia. Al secondo posto l’Albania con 518 detenuti su 100 mila persone. Poi la Romania (309 su 100 mila). Lontani dal podio i detenuti di nazionalità filippina: sono 35 ogni 100 mila persone presenti in Italia. Tuttavia, questi dati vanno analizzati con attenzione.  (altro…)

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Giustizia: che cosa si può fare per abolire il carcere

di Gustavo Zagrebelsky

La Repubblica, 23 gennaio 2015
Il carcere non è semplicemente privazione della libertà, come nel caso di un sequestro di persona. È qualcosa di qualitativamente diverso. Il sequestrato sa che la sua condizione è arbitraria e deve cessare il più presto possibile e che, fuori, c’è chi si dà da fare a questo fine. La vita continua nell’attesa. Una volta c’erano i “canta-cronache”.
Un bellissimo testo di vita e d’amore del 1959 – autore Fausto Amodei, contiene una lezione di filosofia morale che nell’ultimo verso dice: “Basta che non ci debba mai mancare qualcosa d’aspettare”. Ciò che possiamo aspettare è ciò che trasforma la mera esistenza biologica in vita. Vorrei ricordare una considerazione che viene da un uomo che il carcere l’ha conosciuto davvero e a lungo, Vittorio Foa.
Per il detenuto comune non sorretto da una fede religiosa o politica, dice, “non c’è futuro. La speranza di salvezza viene meno. Il tempo si svuota. Si ripensa il passato o ci si rappresenta il futuro come in un’esteriore contemplazione priva di legami con la volontà ormai assente. (…) Le privazioni materiali del carcere sono poca cosa o comunque cosa alla quale l’organismo umano si adatta con facilità, (…) il peso reale della detenzione consiste solo nel progressivo svanire della volontà col decorso del tempo”, cioè nella decomposizione dell’essere umano in conseguenza dell’espropriazione e della nullificazione del tempo (Psicologia carceraria, in il Ponte, 1949, pagg. 299 e sgg.).
Il possesso del tempo della propria vita non è precisamente ciò che distingue gli esseri umani dalle cose che non hanno tempo e dagli animali la cui esistenza è ancorata agli istanti di un continuo presente privo di prospettiva? Per questo, la conciliabilità del carcere con la dignità umana appare un’illusione: una nobile illusione, ma pur sempre illusione. (altro…)

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Firenze, detenuto nel carcere di Sollicciano si suicida con una bomboletta a gas

firenzepost.it, 3 giugno 2014

Un nuovo caso di suicidio oggi nel carcere di Sollicciano a Firenze. Un detenuto magrebino di 40 anni si è tolto la vita nella sua cella all’interno della 13ª sezione.

A renderlo noto è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, secondo il quale si tratta del «61° morto in carcere dall’inizio dell’anno e il 19° per suicidio».
L’uomo si sarebbe barricato nel bagno della cella che condivideva con altri due detenuti ed ha inalato il gas di una bomboletta che serviva ad alimentare un fornellino. A nulla è servito il tentativo degli agenti di polizia penitenziaria e del medico del carcere che hanno cercato di rianimarlo.
«Il suicidio – dice Beneduci – si è verificato in una sezione protetta, nella quale doveva anche realizzarsi la cosiddetta sorveglianza dinamica, a riprova di un modello detentivo destinato a fallire prima di realizzarsi».

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