Da Cuba alla Pantagruel

Tony Guerrero, uno dei 5 Eroi Cubani, recentemente al centro dell’attenzione dei media per lo scambio di prigionieri avvenuto il 17 dicembre tra Obama e Raul Castro, è stato a Firenze sabato 23 maggio, presso la sede della nostra associazione, per un incontro organizzato insieme all’Associazione di Amicizia Italia-Cuba.

Tony è stato imprigionato per 16 anni nelle carceri USA, accusato di spionaggio e terrorismo a seguito di processi farsa, ma in realtà stava cercando di scoprire gli organizzatori di attentati terroristici contro Cuba.

Volentieri condividiamo l’intervista a Guerrero, esclusiva di Luciano del Sette per “Alias”, del 23 maggio 2015

“Chiede qual­che foglio di carta bianca e una penna. Si siede, ti guarda, sor­ride. Ha un sor­riso che cam­bia, Anto­nio Rodri­guez Guer­rero. Mobile come la mano che guida la penna su un foglio, o insieme all’altra resta sospesa nell’aria per fer­mare un momento del rac­conto. Mobile come gli occhi che sca­val­cano il vetro sot­tile delle lenti, si fis­sano nei tuoi, si assen­tano per cer­care ricordi. Fa da con­tra­sto la voce, bassa e fluente, colonna sonora di una tran­quil­lità che ti rie­sce dif­fi­cile cre­dere. Per­ché Anto­nio Guer­rero Rodri­guez è uscito da un car­cere degli Stati Uniti appena cin­que mesi fa, il 17 dicem­bre 2014, dopo sedici anni e ses­san­ta­cin­que giorni. La gra­zia fir­mata da Barak Obama ha can­cel­lato una con­danna all’ergastolo, poi ridotta in appello a ven­tun anni e dieci mesi. Accusa: atti­vità di spio­nag­gio e cospi­ra­zione. Anto­nio era uno dei Cinco Pre­sos, i cin­que pri­gio­nieri cubani, le cui vicende ave­vano fatto nascere una cam­pa­gna inter­na­zio­nale di soli­da­rietà. Un pro­cesso in stile Guerra Fredda, prove a favore secre­tate, prove con­tro messe in campo da spie di regime, celle di iso­la­mento, ver­detto e deten­zione duris­simi. Una set­ti­mana fa, Guer­rero è stato ospite a Vene­zia della nona edi­zione del festi­val inter­na­zio­nale di poe­sia «La pala­bra en el mundo». Pre­senza fisica, dopo che, nelle edi­zioni pre­ce­denti, altri ave­vano letto le sue strofe spe­dite dalla cella.

Gli ave­vamo chie­sto di incon­trarlo, aveva accet­tato senza porre con­di­zioni. E così ci siamo tro­vati davanti quel sor­riso, quelle mani, que­gli occhi, quella voce, a rac­con­tarci una sto­ria i cui capi­toli sono tes­suti dalla fede poli­tica e dall’amore per Cuba…”

Leggi l’intervista integrale a Guerrero

 

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Carceri formato matriosca

Cattivi

di Luigi Manconi

Domenica Il Sole 24 ORE, 10 maggio 2015

Il carcere è il luogo della nostra organizzazione collettiva dove più alta è la percentuale di analfabeti e di analfabeti di ritorno. Allo stesso tempo, è il luogo dove la miseria sociale e culturale può giungere ad attivare le strategie più tenaci di resistenza e di emancipazione, affidate a faticosi processi di formazione e di autoformazione. In genere percorsi individuali, perseguiti attraverso la ricerca dolorosa di spazi propri e personali, all’interno di una dimensione congestionata e affollata. E affollamento non è quello che si crede abitualmente. Non è la proiezione concentrazionaria di una spiaggia del litorale romagnolo a ferragosto. È, piuttosto, la promiscuità fisica e mentale e, per così dire, spirituale. È l’addensarsi impudico di corpi e il mescolarsi soffocante di fiati odori umori, che realizzano una sorta di spoliazione della personalità, ridotta alla mera dimensione fisica (la «nuda vita»).

Qui, in questo abisso – dove in due metri quadrati trovano posto il water, la doccia, il fornello e il cibo – davvero ci si può perdere, scoprendo di essere niente più che le proprie elementari funzioni biologiche. Oppure, toccato il fondo, ci si può salvare perché si rintraccia il nocciolo essenziale di se stessi. Quel fondamento irriducibile della persona ha bisogno di una voce per parlare, dentro il frastuono assordante e ottundente di un ossessivo accalcarsi. Talvolta la scrittura soccorre. Proprio lì la scrittura, a confronto con l’essenzialità dell’individuo spossessato di tutto, può essere la forma altrettanto essenziale della sopravvivenza: una forma scarnificata e ridotta all’osso, com’è nelle esercitazioni letterarie di molti detenuti (va ricordato che all’interno delle carceri italiane, in quella povertà assoluta, si tengono decine di corsi di scrittura creativa). Nel romanzo Cattivi, Maurizio Torchio, che detenuto non è e non è stato, non ricorre al meccanismo della finzione artistica, né a una spericolata procedura di immedesimazione. Il suo io narrante conserva il connotato dell’essenzialità – dire ciò che si deve dire, nell’esatto modo di dire – in virtù di un timbro letterario particolarmente nitido. E ciò dentro una concezione del mondo e del mondo prigioniero che rivela una sua ispirazione classica. Non a caso, il libro si apre con una citazione della Politica di Aristotele: «chi non è in grado di entrare nella comunità o per la sua autosufficienza non ne sente il bisogno, non è parte dello Stato, e di conseguenza o è bestia o dio».  (altro…)

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