Il Garantista, 18 febbraio 2015
Non è capace di intendere e di volere, non sa dove si trova né perché: sua madre non riesce più ad aiutarlo. La lettera che pubblichiamo è stata scritta da un gruppo di detenuti della Casa di Reclusione di San Gimignano. L’avevano inoltrato, prima della scadenza del suo mandato, al presidente della Repubblica Napolitano per chiedere la Grazia per un loro compagno, Alfio Freni. È un ergastolano, entrato in carcere da giovanissimo a 19 anni, e ininterrottamente detenuto da 24 anni.
Ma non è una persona come tutti gli altri perché Alfio ha gravi problemi mentali. Chi in carcere lo incontra racconta di una persona chiusa, estremamente remissiva, diffidente di tutto e di tutti e sembra spaventato dall’idea che vogliano da lui “confessioni: non comprende dove si trova, non sa difendersi, non si fa difendere.
È un uomo completamente abbandonato dalla famiglia. A suo tempo era seguito solo dalla madre, ma ora è anziana, ammalata e non ha soprattutto risorse economiche per aiutarlo. A tratti quel che ha dentro esplode in comportamenti violenti e spacca tutto quello che ha in cella, per poi finire quindi isolamento con altrettante denunce per danni.
I suoi compagni di detenzione sono sconvolti dalle sue condizioni, soprattutto trovano incomprensibile l’atteggiamento delle istituzioni. E quindi hanno preso a cuore il suo caso e si sono rivolti al presidente della Repubblica. Hanno deciso di non rimanere indifferenti, a differenza delle istituzioni che hanno semplicemente rinchiuso Alfio e buttato via la chiave. Per sempre. Ci auguriamo che l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella prenda a cuore questo caso.
Illustrissimo Presidente della Repubblica Italiana…
Signor Presidente, siamo dei detenuti della Casa di Reclusione di San Gimignano (Siena), le scriviamo affinché interceda con un atto di Clemenza e di Grazia nei confronti di un detenuto di questa Casa di Reclusione.
Le nostre parole sono mosse soltanto dalla compassione e dall’umanità che proviamo verso quest’uomo, il quale è entrato poco più che maggiorenne ed è da 24 anni detenuto ininterrottamente. Lo stesso, attualmente, per problemi “mentali” non ha alcuna possibilità di difendersi, in balia di se stesso oltre che del sistema giudiziario, e privo della capacità di intendere e di volere.
Un diritto questo garantito dalla nostra Costituzione, sia dall’art. 3 (che assicura pari dignità sociale a tutti i cittadini davanti alla legge), sia dall’art. 27 (dove si dice che le pene non possono consistere in un trattamento contrario al senso di umanità, tendendo alla sua rieducazione). Come detenuti, e in quanto tali cittadini, anche se “ultimi degli ultimi” di questa società, ci appelliamo ad Ella, massima carica Istituzionale Garante della Costituzione, proprio in nome dell’imprescindibile diritto alla dignità, ed umanità di tutti gli uomini, nessuno escluso. Le scriviamo, di conseguenza, per porre fine ad un’infinita sofferenza di una vita umana, ormai non più consapevole della realtà in cui vive.