L’angelo del carcere

angelo

di Lucia

Sono un Angelo del Signore e sono stato assegnato ad un carcere. E’ la prima volta che faccio questa esperienza ma del resto per me tutto è uguale perché l’assistenza alle creature umane si può fare in mille luoghi diversi.

Sono entrato una mattina presto, all’alba, quando ancora i raggi del sole non erano usciti dal loro involucro notturno. L’aria fuori era carica di aspettativa e di mistero e anche di vita, com’è sempre l’alba. Che bel momento da respirare ma gli uomini in genere preferiscono vivere più di notte e in quel momento stanno dormendo e non sanno la magia che si sprigiona intorno a loro.

Mi sono trovato nei cortili interni dove a quell’ora tutto è silenzio, le guardie del turno di notte sono assonnate e annoiate e soltanto gli asinelli che sono all’interno dell’edificio, nell’area verde, sono svegli e fremono nell’aria fresca del mattino annusando e respirando i profumi della terra. Al mio passaggio i loro grandi occhi hanno guardato la mia luce con gratitudine e gioia.

Ho cominciato a muovermi per i lunghi corridoi deserti e ho trovato che erano molto sporchi. Tracce di sofferenza ovunque nelle macchie che coprono le pareti e i pavimenti e che lo straccio dello “scopino” non è sufficiente a togliere. Mi sono incantato un po’ a osservare i dipinti che sono stati fatti sul muro lungo tutto il corridoio grande e il mio cuore di luce si è riempito di amore per quelle creature che hanno saputo esprimere in quel triste luogo la loro creatività più delicata. Che dire di quelle enormi farfalle colorate e dei tanti uccelli sui rami o in volo. Certo il richiamo è alla libertà ma soprattutto libertà dell’anima che, avviluppata negli stracci neri degli istinti più bassi, desidera la luce e attraverso il colore la vive.

Con un ampio volo sono arrivato nelle sezioni dove ci sono le celle e ho passeggiato lungo il corridoio interno lanciando uno sguardo attraverso gli spioncini delle porte blindate.

Uomini ammassati in uno spazio minuscolo, sdraiati su tre letti uno sopra l’altro e, nello spazio rimanente, stracci d’ogni genere, vestiti, scarpe, ciabatte e il fornellino per preparare da mangiare con le poche pentole. I piatti non prendono posto perché sono sempre rigorosamente di plastica come le posate. Povere cose, segnali di una vita che, sia pure mortificata, non vuole spengersi e cerca di vivere nelle cose di tutti i giorni come farsi la doccia, prepararsi un caffè e cucinare del cibo. Ci sono celle fortunate dove uno o più d’uno ricevono denaro da casa e possono così fare la spesa e cucinare per sé e per gli altri; quelle sfortunate sono dove nessuno ha soldi e allora sono costretti a mangiare dal “carrello” che passa portando il cibo che fornisce il carcere: scarso, di infima qualità e mal cucinato. Alcuni non hanno i denti e non possono masticare ciò che viene loro propinato.

La battaglia ha inizio, cominciano a svegliarsi e suggerisco loro parole di speranza e di coraggio perché possano affrontare la sfida di un’altra giornata della loro pena.

Alcuni non riescono a svegliarsi, intontiti come sono dagli psicofarmaci che vengono abbondantemente distribuiti, altri invece non hanno proprio dormito pensando alla propria situazione o ai problemi della famiglia rimasta senza il loro sostegno, c’è chi ricorda un amore perduto, chi è stato abbandonato, chi ha avuto un’infanzia molto difficile. Per la maggior parte hanno avuto famiglie problematiche e per questo sono venuti via da casa ancora ragazzi e chi l’ha guidati e presi sotto la propria protezione non erano certo dei bravi genitori ma personaggi ambigui che li hanno sfruttati e indotti nelle strade del male. Ma guardando a questi uomini e donne che lavorano per il male vedo che ognuno di loro ha avuto alle spalle difficoltà e mancanza d’amore. Quasi nessuno avrebbe voluto fare quello che ha fatto, anche loro desideravano l’amore di una madre e di un padre ma non hanno neppure saputo cercarlo per le strade del mondo, proprio perché non lo conoscevano. E così sono lì con il cuore annerito dal vizio e dalla disperazione e non vedono speranza per la loro vita. Li avvolgo in una luce rosata perché tutto quel grigiore venga mitigato e oggi venga loro in mente qualcosa di positivo, una voglia di ricercare una vita diversa. Alcuni si aprono a questi suggerimenti, altri si chiudono ancora di più perché hanno paura, paura che non sia vero, che non sia per loro, mancanza di fede. Io però continuo ogni mattina e ogni momento del giorno ad abbracciarli nella mia luce multicolore ed è per questo che alcuni fanno riflessioni positive e altri rinunciano a togliersi la vita

Nei corridoi del carcere cammina solenne l’Angelo della morte. Lui è lì in pianta stabile per poter accogliere coloro i quali decidono di suicidarsi. L’Angelo della morte è un bellissimo angelo ed è animato da un amore infinito, lo stesso amore del Padreterno che lo ha creato e che lo invia dove c’è bisogno. C’è molta misericordia in lui e l’amore per quelle creature disperate e impaurite è enorme. Non c’è giudizio da parte dell’Eterno, è l’uomo stesso che, guardando alla propria esistenza sulla terra, trarrà le sue conclusioni e può darsi che alcune volte quello che vede di sé gli dia un dolore enorme; è appunto per questo che l’amore per lui sarà sempre grande finchè non arriverà a provarlo anche per se stesso e per le proprie azioni.

Io e l’Angelo della morte non siamo in competizione, ognuno di noi svolge il proprio compito che, alla fine, è sempre quello di portare e infondere l’amore.

Se mancasse la nostra presenza questo luogo scomparirebbe nelle viscere della Terra.

Continuo la mia osservazione e vedo che molti di questi uomini e donne non hanno vestiti per cambiarsi o per coprirsi quando fa più freddo e che mancano loro oggetti di prima necessità ma che, se non hanno denaro, non possono procurarsi. Ci sono volontari che impiegano una parte del loro tempo per fare ciò che l’istituzione del carcere non fa, come appunto fare avere vestiti, dare ascolto e amorevolezza. Il lavoro di questi volontari richiede di non cercare gratificazioni o riconoscimenti perché la loro opera è osteggiata dagli agenti di sorveglianza che vedono la loro presenza come un aumento del loro lavoro e anche come un occhio che vede le ingiustizie che vengono perpetrate. Anche gli impiegati, chiamati “educatori” non apprezzano il contributo dei volontari, non comprendono che, invece, potrebbero agevolare molto il loro lavoro se soltanto pensassero che è utile una collaborazione, anche fornendo tutte quelle informazioni che invece al volontario mancano e quindi farlo diventare un tramite fra loro e il recluso.

Oggi dentro al carcere si tengono diverse Camere di Consiglio, una specie di processo, e quindi sento battere forte il cuore degli uomini e delle donne giudicate. Per loro certe decisioni incideranno sul futuro in maniera significativa e si chiedono se riusciranno a farsi ascoltare, come si sarà alzato quella mattina il magistrato, se il loro avvocato sarà capace di parlare per loro. Anche in questa stanza mi dispongo dietro ai giudici e amplio la mia colorata luminosità cercando di farla assorbire a tutti i presenti. Qualche volta funziona, altre volte invece si scontra con delle durezze o indifferenze così cristallizzate che le scalfisce appena.

Nelle aule de tribunali non sempre giustizia è fatta.

Purtroppo la pena e la permanenza in carcere diventano punitive invece che rieducative e questo è il limite che hanno le persone preposte ad aiutare i carcerati. Per la “rieducazione” occorrerebbe più elasticità e buon senso, invece sull’osservazione delle regole si perdono i buoni propositi e si rende la vita dei condannati un vero inferno di tipo fisico e psicologico.

Essere ridotti ad oggetti è questa la base sulla quale poi niente arriva a reale compimento anche se previsto dalla legge. Il fallimento continuo del detenuto è anche quello dell’intero sistema e di ogni operatore di qualunque ordine e grado. C’è molta ignoranza da parte dei più e questo non può che generare una profonda infelicità, intolleranza e aggressività.

Mi soffermo negli ambulatori medici dove spesso ci sono bravi infermieri e anche medici ma non sempre è così. Vedo persone disperate per le loro sofferenze, non essere presi in considerazione o, a causa dei ritardi del servizio sanitario che non li fa andare in tempo alle visite specialistiche o a fare analisi, constatare come ormai sia troppo tardi per rimediare una malattia.

Nei reparti dove sono ospitate le donne si respira un’aria diversa anche se le problematiche sono le stesse. In più molte di quelle persone sono angosciate per la mancanza dei figli, perché sono stati loro tolti, per non sapere come relazionarsi così da lontano, visto anche che le telefonate sono consentite soltanto per dieci minuti e una volta alla settimana. Vedo che le donne riescono a ingentilire l’ambiente ma anche profonde depressioni difficili da superare.

Alcune di loro hanno avuto la fortuna di essere state assegnate alla cura degli asinelli ospiti dell’istituto. All’inizio forse non lo volevano fare ma poi è venuto un esperto a insegnare loro come dovevano comportarsi con questi animali e si sono appassionate. Gli asini sono diventati così la loro ragione di vita, ogni giorno, ogni mattina che devono alzarsi per accudirli. Si sono creati rapporti teneri, gli animali cercano le loro “asinare” e le chiamano con alti ragli dal prato in cui vivono. Attualmente ci sono due asine e un asinello maschio che è nato da una di loro. Quest’ultimo è bianco e ha il pelo un po’ lungo con dei riccioli. Succede anche che in occasioni di sagre, o altro tipo di festa, gli asini e le loro asinare hanno il permesso di parteciparvi insieme a rappresentanti di una associazione che ha la cura degli asinelli come progetto rieducativo. E’ quella un’occasione bella perché le donne vanno ed entrano a far parte di un evento esterno alla loro realtà quotidiana e hanno contatto con tanta gente che chiede informazioni sugli asini e sul carcere; soprattutto i bambini sono estasiati di poter toccare da vicino un animale bello come un asinello e si crea così un bellissimo clima di festa che porta fuori dalle preoccupazioni di ogni giorno.

Gli asinelli, come del resto quasi tutti gli animali, sono docili portatori d’amore ed è sempre l’uomo che, maltrattandoli, uccide la bellezza che essi esprimono.

Ogni persona reclusa ha una vita che varrebbe la pena di essere scritta e letta e ogni esistenza contiene così tanti insegnamenti che basterebbero per tutti.

Vedo le persone di buon cuore che vorrebbero fare di più per alleviare le sofferenze e rimediare alle ingiustizie; intorno a loro c’è una forte luce verde e rosata. So che questo atteggiamento è molto bello e buono e amo quella gente, però conosco anche le leggi del destino e del libero arbitrio e so che nessuno si incontra per caso, l’aguzzino con la vittima, il giudice con il giudicato, le guardie con gli arrestati e così via. Per ogni incontro che avviene si compie la conseguenza di una scelta e anche si pareggiano i conti fra le cause messe con le proprie azioni e i relativi effetti e di tutto quanto le persone sono responsabili. Soltanto un grande amore per sé può fare aprire la coscienza alla comprensione di questa legge di causa ed effetto. Unicamente la conoscenza dell’amore può portare all’accettazione degli eventi della propria vita, anziché a rabbia o rassegnazione.

Io sto con tutti loro dentro a questo luogo chiamato carcere e infondo questi principi sussurrandoli nelle orecchie di ciascuno. A volte entro in una cella e rimango a lungo con qualcuno che è pronto ad ascoltare, certe altre cammino con loro lungo i corridoi infiniti e spesso mi espando e dall’alto, divenuto così grande, copro con le mie ali tutti l’edificio e da lì infondo la mia luce.